CREDERE? OBBEDIRE? COMBATTERE?
La decisione dell’ateneo di Bologna di rifiutare un corso "ad hoc" di filosofia dedicato ai militari è, più che un gesto di chiusura, un atto di lucidità istituzionale. Infilare il pensiero critico nella macchina gerarchica dell’esercito sarebbe come introdurre una scheggia di vetro in un motore a reazione, affascinante teoricamente, disastroso praticamente. Il mondo militare vive di ordine, disciplina, catena di comando, obbedienza immediata — non per sadismo o arretratezza, ma perché solo così riesce a funzionare in un ambiente dove l’indecisione non è un difetto dell’anima ma una causa diretta di morte. La filosofia, al contrario, è la scienza dell’indecisione, dell’“aspetta un attimo”, del “siamo sicuri?”, del “e se fosse l’opposto?”. È progettata per smontare le strutture rigide, rivelarne le crepe, trasformare ogni certezza in un problema. Consegnarla a un Ufficiale significa offrirgli uno strumento che non può non usare, perché la filosofia lavora proprio così, ti entra sotto pelle e inizia a martellare. E un comandante che comincia a filosofeggiare non è un comandante più profondo, è un pericolo operativo. La filosofia ha il vizio di dissolvere l’autorità, e un esercito dove ogni grado interpreta il dovere secondo la propria sensibilità è un esercito che implode nella sua stessa complessità. L’università, da parte sua, sapeva benissimo che accogliere un corso dedicato avrebbe significato assumersi la responsabilità di inoculare il dubbio in un corpo istituzionale che vive solo se evita il lusso del dubbio. Non è un giudizio morale, è una consapevolezza strutturale. Ci sono forme di vita intellettuale che non possono convivere senza che una delle due smetta di essere ciò che è. E allora sì, la scelta dell’ateneo è stata severa, ma coerente - purtroppo prontamente strumentalizzata dalla politica - proteggere la filosofia da chi non può permettersela e proteggere l’esercito da ciò che potrebbe disgregarlo. Perché, a ben vedere, tutto si riduce a questo: nel mondo militare quei tre verbi — credere, obbedire, combattere — devono scorrere senza attrito. Se un soldato comincia a interrogarsi su ciascuno di essi, anche solo per un istante, la catena si inceppa. Basta chiedersi “ma in cosa sto credendo?”, “perché dovrei obbedire proprio così?”, “ha senso combattere adesso?” perché l’azione si arresti, il gesto rallenti, la decisione evapori. E un esercito che si ferma per una domanda è un esercito che non funziona. È proprio qui che la filosofia diventa esplosiva, perché l’unica cosa che sa fare, instancabilmente, è trasformare ogni comando in un interrogativo. E un interrogativo, per un soldato, è già una sosta. Una sosta che può costare tutto. L’esercito ha più bisogno di Poeti che di Filosofi. Quando la mitraglia canta e la terra trema, non serve chi sa spiegare perché si muore. Serve chi sa morire. E questo lo sa solo il Poeta.
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