PREMIO GIACHETTI

Se ci si ferma un attimo a osservare il quadro generale — quello autentico, non la versione filtrata dalla propaganda — la situazione sfiora davvero il grottesco. Da una parte c’è la Russia di Putin, quella stessa che da anni rivendica apertamente bombardamenti su infrastrutture civili ucraine, che usa l’inverno come arma e la diplomazia come palcoscenico per giochi di forza in cui Zelensky e, sorprendentemente, persino Trump diventano pedine da muovere secondo l’umore del momento. Una Russia che pratica la guerra ibrida con la stessa naturalezza con cui altri si fanno un caffè. Sabotaggi, attacchi informatici, campagne di disinformazione… tutto parte del pacchetto.

Eppure, in questo teatro già piuttosto surreale, arriva il colpo di scena... Mosca si indigna. Sì, proprio così. Si scandalizza perché l’ammiraglio Cavo Dragone, già Capo di Stato Maggiore della Difesa italiana e attuale Presidente del Comitato militare NATO, osa ipotizzare che l’Occidente — udite udite — possa prendere in considerazione l’idea di passare dalla mera reazione alla possibilità di una risposta più assertiva. Non un proclama di guerra, non un “carichiamo i cavalli e via verso il Donbass”. No, semplicemente l’idea che forse non sarebbe il caso di continuare a fare l’incudine mentre qualcuno si diverte a fare il martello.

Fin qui sarebbe già abbastanza bizzarro, ma il vero capolavoro arriva quando questa indignazione viene ripresa con diligenza da una certa stampa italiana, soprattutto da quella destra che fino a pochi anni fa si presentava come roccaforte atlantista, anticomintern, antirusso per definizione. Oggi, improvvisamente, pare che il Cremlino sia diventato il nuovo faro dei valori conservatori europei, una metamorfosi retorica così rapida che persino Kafka, di fronte a tanto zelo, avrebbe alzato le mani.

Si passa così dal quadro reale — un regime autoritario che bombarda ospedali e centrali elettriche per spezzare la resistenza di un popolo — alla narrazione ribaltata, in cui l’aggressore diventa la vittima e chi si difende si trasforma in un provocatore irresponsabile. L’Europa è minacciata da attacchi informatici, operazioni clandestine e propaganda destabilizzante? Dettagli. Il problema, ci viene detto, è un ammiraglio italiano che osa pronunciare la parola “reagire”.

E tutto questo mentre le città ucraine continuano a essere bombardate quotidianamente, mentre le famiglie cercano i propri cari sotto le macerie, mentre milioni di persone sono costrette a lasciare le proprie case. Ma, ci spiegano, il vero scandalo sarebbe l’Occidente che osa parlare — solo parlare — di non voler restare eternamente inerme.

Siamo davanti a un esercizio di contorsionismo narrativo così raffinato che un premio bisognerebbe darlo davvero. E qui nasce spontaneo il “Premio Giacchetti”, un riconoscimento ideale per chi riesce a ribaltare la realtà con tale eleganza da far sembrare che l’aggressione sia un dettaglio e la reazione — o persino la sua semplice evocazione — una colpa gravissima. Una statuetta metaforica dedicata a chi, con ammirevole faccia tosta, riesce a far passare Putin per l’offeso di turno e Cavo Dragone per il piromane.

In fondo, in questa tragicommedia geopolitica, un po’ di premi servono davvero. Se non altro, per riconoscere chi contribuisce con impegno a rendere il dibattito pubblico un numero di equilibrismo degno del miglior circo.

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