DISCENDENZA LEGALE O BIOLOGICA?

Immaginate di camminare con me, passo dopo passo, tra le polverose strade di Nazaret, duemila anni fa, dove l’aria è densa di profumi di ulivo e di voci che si intrecciano in aramaico, e dove un giovane falegname di nome Giuseppe, discendente di un’antica stirpe reale ormai dimenticata, sta per diventare il protagonista involontario di una delle più grandi rivoluzioni della storia. Sì, perché Giuseppe non è solo un uomo qualunque, è un figlio di Davide, un erede legale di quella promessa solenne che Dio fece al pastore-re di Israele, quel patto eterno che avrebbe portato un germoglio giusto a sedere sul trono per sempre. Ma ecco il colpo di scena, cari bustiners...il figlio che gli nascerà non sarà suo. Non nel senso che intendiamo noi, almeno. Maria, la sua sposa, è incinta per opera dello Spirito Santo, dice il Vangelo, e Giuseppe, in un primo momento, è sconvolto, pensa al ripudio silenzioso, alla legge, all’onore. Poi un angelo gli appare in sogno e gli dice: «Non temere, Giuseppe, figlio di Davide». Figlio di Davide. Capite? Non è un caso. Dio non sceglie a caso. Quel titolo non è un complimento, è un requisito. Perché le Scritture, quelle antiche profezie che gli ebrei custodiscono gelosamente, sono chiare... il Messia deve venire dalla casa di Davide, dal suo seme, dal frutto delle sue viscere. E Giuseppe è l’ultimo anello di una catena che parte da Abramo, passa per Isacco, Giacobbe, Giuda, e arriva fino a lui, a Betlemme, la città di Davide. Ma se Gesù non è figlio biologico di Giuseppe, allora come può essere figlio di Davide? È qui che la storia si fa affascinante, quasi un giallo teologico. I cristiani dicono "tramite l’adozione". Giuseppe accetta Maria, dà il nome al bambino [scelto da Dio, ne ho parlato in questa Bustina], lo riconosce come suo figlio davanti alla legge ebraica, e in quel gesto Gesù entra legalmente nella linea davidica. È un’adozione perfetta, dicono, come quelle che nella Roma antica trasmettevano imperi e patrimoni. Ma fermi un attimo. Immaginate di essere un rabbi del I secolo, uno scriba che conosce la Torah a memoria. Voi alzate la mano e dite: «Aspetta. La tribù non si trasmette per adozione. La tribù di Giuda passa solo dal padre biologico. Lo dice Numeri, lo dice Esdra. Un adottato non è levita, non è sacerdote, non è re». E avete ragione. Nella legge ebraica, la discendenza tribale è ferrea, patrilineare, biologica. Nessun re d’Israele è salito al trono perché adottato. Salomone era figlio di Davide e Betsabea, non di un atto notarile. E allora? Allora il cristianesimo risponde con un’altra mossa...Maria. 
Sì, Maria era anch’essa discendente di Davide, dicono alcuni, e Luca nel suo Vangelo traccia una genealogia che, guarda caso, passa per un certo Eli, che sarebbe il padre di Maria. Ma attenzione, Luca non lo dice. Dice solo che Gesù era figlio, come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli. Non dice “di Maria”. È un’interpretazione successiva, del II secolo, per salvare il salvabile. Due genealogie, due linee, una legale e una biologica. Geniale, no? Ma anche sospetta. Perché se entrambe sono di Giuseppe, allora sono contraddittorie. Matteo dice che Giuseppe discende da Salomone, Luca da Natan. Due figli diversi di Davide. Due rami. Due storie. E se una è di Maria, perché non lo dice chiaramente? Perché nasconderlo? Forse perché all’epoca non era così importante, o forse perché non era vero. E qui, amici, entriamo nel cuore del paradosso... se Gesù è Figlio di Dio, nato da una vergine, allora non ha padre umano. E se non ha padre umano, non ha tribù. E se non ha tribù, non è della casa di Davide. E se non è della casa di Davide, le profezie non si compiono. Punto. Non c’è scappatoia logica. Il cristianesimo vive di fede, non di genetica. Ma dal punto di vista ebraico, è una contraddizione insanabile. Giuseppe è un uomo buono, un giusto, un custode. Ma non è un donatore di DNA. E il trono di Davide non si eredita con un atto di volontà, ma con il sangue. Camminiamo ancora un po’, tra le rovine di Cafarnao, e pensiamo che forse è proprio qui la bellezza del cristianesimo. Non risolve il problema. Lo trascende. Dice: «Sì, è impossibile. Ma con Dio tutto è possibile». E lascia la contraddizione lì, come una ferita aperta, come una porta verso il mistero. Perché alla fine, forse, il Messia non doveva solo compiere le Scritture. Doveva superarle.

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