Nietzsche e i complottisti

Ah, il buon Nietzsche! Quello sì che aveva colto il pungente segreto dell'umanità: noi poveri mortali non bramiamo la Verità – no, perbacco! 

Ci accontentiamo di lustrare il nostro ego come scarpe da cerimonia.
Elegantemente battezzata "Tesi di Nietzsche", ora sappiamo che ogni nostra discussione non è che un'operazione di alta chirurgia dell'immagine sociale.
Parlare? Discutere? Macché! Stiamo solo facendo pompini intellettuali a noi stessi davanti a un pubblico.

D'altronde, che noia la verità pura! Preferiamo di gran lunga la versione customizzata: quella che ci fa brillare nei salotti [anche e soprattutto virtuali], che non scompiglia le nostre certezze da discount e che soprattutto non ci costringa a dire: "Ops, ho sbagliato".

Se la realtà osa contraddirci, la respingiamo con l'orrore di chi ha trovato un insetto nella minestra. Minaccia l'autostima? Al rogo!

E così, in quest'era dorata dell'informazione [dove i fatti sono a portata di click, ma solo se ci fanno comodo], trionfano le teorie del complotto. Perché mai sprecare tempo a verificare fonti, studiare o ascoltare esperti noiosi? È molto più emozionante abbracciare storie che ci fanno sentire i ribelli illuminati del bar, anche se per crederci dobbiamo spegnere il cervello all'ingresso. Il nostro sistema cognitivo? Un sofisticatissimo cercatore di conferme, mica di verità! La logica è per secchioni, noi preferiamo la coccola calda del pregiudizio.

Fondamentalmente, i fatti sono come broccoli: li ammettiamo solo se ricoperti di formaggio emotivo.
 
Ciò che conta è sentirsi eroi della propria telenovela esistenziale, acclamati dal nostro circolo di adepti. La verità scomoda? Quella che svela le nostre buffonate? Ma per favore, è vietato turbare i pazienti!
La "Tesi di Nietzsche" ci svela dunque l'arcano: ogni chiacchierata è un reality show per dimostrare "Guardate quanto sono intelligente/giusto/superiore!".

La filosofia, quella rompiscatole, ci suggerisce di non confondere le fette di salame che ci piacciono con il menù della realtà. Ma chi se ne importa! Meglio un bel bias rassicurante che un fatto indigesto.

Ammettere errori? Cambiare idea? Roba da masochisti! Noi restiamo fedeli alla nostra strategia vincente: verità = solo se non dà doloretto esistenziale. Perché mai cercare la luce scomoda della ragione quando possiamo crogiolarci nel santuario dell'autoindulgenza, circondati dagli applausi del nostro fan club? Dopotutto, l'umiltà intellettuale è l'unico accessorio che va davvero fuori moda.

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