UNIVERSI PARALLELI
"Un automobilista pericoloso è colui che, nonostante tutti i nostri sforzi, riesce comunque a superarci", diceva qualcuno, e aveva ragione da vendere perché l'automobilista italiano non è solo un guidatore qualsiasi, no no, è un filosofo con il motore acceso, un funambolo del volante, un artista concettuale dello slalom tra i paletti che riesce a condensare secoli di cultura, passione e quel pizzico di incoscienza che trasforma ogni rotonda in un dramma esistenziale degno di Pirandello. Quando sale in macchina, l'italiano non si limita a guidare come farebbe un tedesco o uno svizzero, macché, lui entra nel personaggio più totale, l'abitacolo si trasforma in un'estensione del suo ego, un confortevole palcoscenico dove può interpretare se stesso come eroe tragico del traffico moderno, e Heidegger l'avrebbe chiamato "essere-nel-mondo" ma qui è più un "essere-nel-traffico-senza-via-di-uscita" con tutto quello che ne consegue.
Il parcheggio poi, oddio il parcheggio, altro che banale manovra da patente, è una questione d'onore, una crociata urbana contro l'ingiustizia dei posti disabili sempre occupati da furbi e delle strisce blu che sembrano disegnate da M.C. Escher dopo una notte di bagordi, trovare parcheggio in centro è come vincere a Risiko con tre carrarmatini, un'impresa epica narrabile ai posteri e che merita una medaglia al valor civile. Il semaforo invece è il grande nemico filosofico per eccellenza, il rosso non è solo un colore ma è la negazione dell'essere, un muro che separa il "vorrei" dal "posso", e davanti al rosso l'automobilista italiano entra in una crisi ontologica totale, lo guarda fisso sperando di piegarlo con la forza del pensiero mentre borbotta, gesticola e chiama in causa entità celesti e governi terrestri come se fosse colpa loro se il semaforo non capisce che lui ha fretta.
E il sorpasso, madonna il sorpasso, lì siamo nel mito puro, sorpassare è un gesto di pura trascendenza come volare sopra i problemi, l'automobilista italiano che sorpassa non vuole solo arrivare prima ma vuole vincere moralmente, spiritualmente, ontologicamente, "Io sorpasso dunque sono" potrebbe essere il suo motto esistenziale. La coda invece è l'inferno dantesco rivisitato in chiave moderna, un limbo di lamiere e sospiri dove tutti fingono di essere zen ma dentro urlano come Tarzan dopo un tamponamento, eppure anche qui l'automobilista italiano si reinventa cambiando corsia, cambiando idea, cambiando stazione radio 28 volte e trovando sentieri alternativi là dove nemmeno Google osa inoltrarsi con i suoi algoritmi.
Il clacson va detto non è uno strumento ma è un linguaggio vero e proprio, c'è il colpetto secco per dire "eh guarda che è verde", la suonata prolungata per dire "ma che cazzo fai", la sequenza di colpetti per dire "ciao ti ho riconosciuto" e la sinfonia disperata per dire "sono in ritardo, la mia vita è finita, aiutatemi tutti". Gli indicatori di direzione per molti sono un optional mistico, l'italiano li interpreta come Shakespeare faceva con le profezie, cioè liberamente, se li usa è per confondere il nemico non certo per informare il prossimo delle sue intenzioni strategiche.
E poi ci sono i vigili, l'incontro con loro è un rituale antico come il mondo, una partita a scacchi tra la legge e l'arte di arrangiarsi, il sorriso accennato, il "non l'avevo visto", il "ma io abito qui vicino" fanno parte di un dialogo millenario tra potere e cittadino motorizzato che sa come cavarsela. Il parcheggio creativo invece è l'opera d'arte quotidiana per eccellenza, mettere l'auto in bilico tra un cassonetto e un'edicola con metà cofano su un'aiuola è il vero Rinascimento dell'automobilismo che Michelangelo si sogna.
Il GPS è un altro dramma surreale, il navigatore satellitare ha rivoluzionato il mondo dell'automobilista italiano ma non nel modo che ci si aspetterebbe, invece di seguire docilmente le indicazioni l'italiano medio instaura con il GPS un rapporto dialettico fatto di contraddizioni e discussioni animate, "Ma no è più veloce se vado di qua", "Ma che ne sa questa qui dove abito io", "Ricalcolo del percorso un cazzo io conosco una scorciatoia", e intanto si finisce inevitabilmente perduti in qualche quartiere sconosciuto maledicendo la tecnologia moderna ma continuando a litigare con la vocina artificiale come con un parente antipatico che gli dà consigli non richiesti durante le feste comandate.
Al distributore di benzina invece l'automobilista italiano ritrova se stesso, si lamenta del prezzo, maledice il barile, fa amicizia col benzinaio e si sente finalmente parte di una comunità di sfortunati, è come il bar della piazza ma con l'odore di gasolio che ti entra nelle narici. Quando piove la macchina diventa un'arca di Noè solitaria, un guscio che protegge da un mondo d'acqua, caos e tergicristalli impazziti, guidare sotto la pioggia è un atto di fede come attraversare il Mar Rosso confidando in Mosè o nei freni ABS che è la stessa cosa.
E poi c'è l'esodo estivo, il vero Giubileo dell'automobilismo italiano, milioni di persone in coda verso la libertà, le infradito e le zanzare, l'autostrada diventa via crucis, la corsia d'emergenza diventa speranza e la meta finale il mare un Eden sudato e agognato dove finalmente potrai dire di aver conquistato le ferie col sudore della fronte e della schiena incollata al sedile.
In fondo l'automobilista italiano è un poeta su quattro ruote, un funambolo tra le regole e la creatività, uno che alla fine trova sempre un modo, magari non è il più veloce né il più preciso ma è sicuramente il più umano, e se ti supera non è pericoloso, è solo più ispirato di te che evidentemente non hai capito che guidare in Italia è un'arte e non una scienza esatta.
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