NEGASIONISMO
Il 13 ottobre 2025 il CNEL, cioè il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro – quell'istituzione che sulla carta dovrebbe occuparsi di lavoro, diritti, coesione sociale e altre amenità del genere – ha ospitato un convegno dal titolo altisonante: "La storia stravolta e il futuro da costruire". Ora, il titolo prometteva bene, sembrava la cosa giusta: parliamo di come l'informazione viene manipolata nei conflitti, guardiamo cosa succede a Gaza e in Israele, facciamo un po' di autocritica sul giornalismo italiano. E invece no, perché quello che doveva essere un momento di riflessione si è trasformato in una bella sagra del revisionismo condita con un pizzico di propaganda, il tutto servito con i soldi pubblici, ça va sans dire, perché tanto quando si tratta di sprecare denaro dei contribuenti non si bada a spese. L'evento era organizzato insieme all'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane [...] e aveva ricevuto la benedizione urbi et orbi del presidente Renato Brunetta, quello che ogni tanto spunta fuori a ricordarci che esiste ancora, e già questo avrebbe dovuto far suonare qualche campanello d'allarme, ma evidentemente i campanelli al CNEL sono rotti o forse non li ha mai installati nessuno. Perché vedete, quando organizzi un convegno sulla "storia stravolta" e poi inviti solo gente che la storia la stravolge in una direzione sola, be', il minimo che si possa dire è che c'è qualcosa che non torna, un piccolo problemino di coerenza, diciamo. E infatti gli interventi sono stati a dir poco illuminanti, nel senso che hanno illuminato benissimo quanto in basso possa scendere certo giornalismo italiano quando decide di mettersi al servizio di una narrazione precostituita. Emblematico – e qui bisogna proprio spendere due parole – è stato l'intervento di Incoronata Boccia, direttrice dell'Ufficio Stampa Rai, la quale ha tranquillamente negato l'esistenza di prove sui crimini di guerra israeliani, parlando addirittura di "suicidio del giornalismo", e uno si chiede: ma il suicidio del giornalismo non è forse negare l'evidenza documentata da Amnesty International, Human Rights Watch, dalle Nazioni Unite, cioè da tutti quegli organismi internazionali che evidentemente per la direttrice Boccia sono solo dei perditempo che si inventano le cose? Perché i rapporti ci sono, sono pubblici, chiunque può andarli a leggere, documentano bombardamenti su ospedali, scuole, case, violazioni sistematiche del diritto umanitario internazionale, ma evidentemente alla Rai hanno deciso che queste sono inezie, dettagli trascurabili, fake news, chissà. E allora uno si domanda: ma se negare le prove documentate non è disinformazione, cosa diavolo è? Illuminazione divina? E poi c'è stato Mario Sechi, altro campione di obiettività giornalistica, che ha liquidato la tragedia umanitaria di Gaza con una battuta sulla presunta assenza di denutrizione tra i palestinesi, come se la fame fosse l'unico indicatore di crisi umanitaria e come se comunque non ci fossero tonnellate di rapporti che documentano proprio quella denutrizione che lui nega, ma tant'è, quando uno ha deciso che una cosa non esiste può anche guardarla in faccia e dire "non la vedo", è un esercizio di volontà notevole, quasi ammirevole se non fosse disgustoso. E il bello – si fa per dire – è che tutto questo avveniva in un convegno che in teoria doveva mettere alla berlina la disinformazione, quindi abbiamo assistito allo spettacolo paradossale di gente che denuncia la disinformazione facendo disinformazione, un cortocircuito logico che evidentemente al CNEL nessuno ha notato o forse hanno notato benissimo ma non gliene importava nulla. A offrire un momento di lucidità in mezzo a questo delirio ci ha pensato Andrea Malaguti de La Stampa, che ha avuto il coraggio di dire una cosa ovvia ma che evidentemente lì dentro suonava rivoluzionaria: non si può parlare del 7 ottobre, dell'attacco di Hamas, senza riconoscere anche quello che è successo e sta succedendo ai civili palestinesi, perché i morti sono tutti morti, la sofferenza è tutta sofferenza, e se uno ha ancora un briciolo di umanità non può fare distinzioni tra vittime di serie A e vittime di serie B. Ma la sua è stata una voce isolata, sepolta dal coro di chi preferiva puntare il dito contro i media "filo-palestinesi", questi terribili sovversivi che hanno l'ardire di mostrare anche l'altra faccia della medaglia, che scandalo, che vergogna. E intanto fuori dal CNEL, sui social, la gente non è che si sia fatta incantare da questa messinscena: molti hanno denunciato il carattere palesemente fazioso dell'evento, qualcuno ha ribattezzato il Consiglio "Cervelli Non Esattamente Lucidi", che francamente ci sta tutto, e la domanda che circolava era sempre la stessa: ma come è possibile che un'istituzione pubblica, pagata con i nostri soldi, si presti a ospitare un evento così spudoratamente sbilanciato? Perché una cosa è avere un'opinione, un'altra è trasformare un organo costituzionale in megafono di propaganda, e qui siamo decisamente nel secondo caso. Ma al di là della polemica del momento, quello che questo episodio ci racconta è qualcosa di più profondo e inquietante: stiamo assistendo alla progressiva erosione del confine tra informazione e manipolazione, tra cronaca e propaganda, e la cosa avviene sotto i nostri occhi con una faccia tosta che lascia senza parole. Quando i numeri – oltre 60.000 morti a Gaza, in gran parte civili secondo l'ONU, e qui parliamo delle Nazioni Unite non del bar dello sport – vengono sistematicamente minimizzati, contestati, messi in dubbio, non siamo più nel campo delle opinioni divergenti, siamo nel campo della negazione della realtà, che è un'altra cosa, è molto più grave. E quando questa negazione viene fatta da chi dovrebbe informare, da chi sta nei posti chiave del servizio pubblico, be', allora il problema diventa serio davvero. Il CNEL avrebbe dovuto ospitare un dibattito serio sul ruolo del giornalismo, su come costruire un'informazione più equilibrata, su come evitare che i conflitti vengano raccontati in modo parziale, e invece si è ritrovato a fare esattamente quello contro cui avrebbe dovuto mettere in guardia: ha stravolto la storia mentre fingeva di denunciarne lo stravolgimento, ha fatto propaganda mentre fingeva di combatterla, ha negato l'evidenza mentre fingeva di difendere la verità. Un capolavoro di ipocrisia, insomma, e il fatto che tutto questo sia avvenuto in un'istituzione della Repubblica, con tanto di presidente che evidentemente non ha visto nulla di strano, rende la cosa ancora più grave. Perché se il futuro deve essere costruito, come recitava pomposamente il titolo del convegno, allora forse il primo passo sarebbe smetterla di raccontare balle, smetterla di negare quello che tutti vedono, smetterla di trattare i cittadini come imbecilli che si bevono qualsiasi cosa. E invece no, perché evidentemente al CNEL hanno pensato che fosse una buona idea trasformare un'istituzione pubblica in palcoscenico per una narrazione così palesemente di parte da far arrossire anche il più spudorato degli spin doctor. E mentre loro parlavano di "storia stravolta", la stavano stravolgendo loro stessi, in diretta, senza pudore, con i soldi pubblici, e questa sì che è una bella metafora del giornalismo italiano contemporaneo: denunciare i mali che si incarnano, combattere la disinformazione facendo disinformazione, difendere la verità negandola. Chapeau.
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