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Visualizzazione dei post da novembre, 2025

IL TEMPISMO DEL MONITO

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Partiamo dal punto che ormai dovrebbe essere scolpito nel granito, Francesca Albanese ha condannato. Lo ha fatto subito, lo ha fatto chiaramente, lo ha fatto più volte. Eppure, come in un riflesso pavloviano, è scattato il “sì, ma…”, che in Italia funziona come una gomma da cancellare, prende la condanna, la sfuma, la riduce, la rende irrilevante. Così si può ricominciare da capo, come se non fosse mai stata detta. È un trucco antico, ma sempre efficace. Il nodo ruota intorno a quella parola, “monito”, diventata improvvisamente un’arma contundente. Ma il punto non è tanto cosa intendesse Albanese — una diagnosi sociale, non un’assoluzione morale — bensì quando un monito si può fare. Perché qui si apre la questione vera. Quando è legittimo avvertire dei rischi? Quando il fatto è ancora caldo, pulsante, nel pieno delle cronache? O quando è passato abbastanza tempo da non urtare nessuno, col risultato però che nessuno ti ascolterà più? È la vecchia trappola dei discorsi pubbli...

ATTINGETE E PORTATE

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Cana, una festa di nozze sta finendo, l’imbarazzo serpeggia e la mancanza di vino sembra già un presagio di fallimento. Qui non c’è un miracolo spettacolare, ma un capovolgimento silenzioso, Gesù non compie gesti solenni, non tocca l’acqua, non pronuncia formule. Dice solo "Riempite d'acqua le giare" e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo "Ora attingete e portatene al maestro di tavola". E il miracolo avviene mentre i servi camminano, in quel tragitto quasi ridicolo in cui stanno portando acqua al responsabile della festa. È lì, nel loro passo obbediente, che l’acqua diventa vino. La fede non è prima dell’azione, è dentro l’azione. Cana rivela così un mistero vertiginoso, l’onnipotenza non scavalca l’umano, lo coinvolge. Dio potrebbe fare tutto da solo, e invece attende un nostro sì, anche incerto, anche senza capire. La sua grazia non annulla il gesto umano. Lo abita, lo trasfigura mentre accade. Per questo Maria può dire: «Fate tutt...

U$A

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C’è un’immagine che più di altre descrive la fase politica che stiamo attraversando, un immobiliarista newyorchese, dotato soltanto di un telefono e della fiducia personale del presidente eletto, impegnato a discutere con un alto consigliere di Vladimir Putin un possibile assetto postbellico dell’Ucraina. Non è satira, non è parodia, è il presente. E il solo fatto che questo scenario non provochi più un trauma ma, al contrario, si inserisca nel flusso ordinario delle notizie, dice molto su come stiamo ridefinendo—o più spesso dissolvendo—i fondamenti della politica internazionale. L’episodio Witkoff, al di là della sua apparente tragicomicità, merita di essere letto come un sintomo. Un sintomo di ciò che in filosofia politica chiamiamo personalizzazione del potere, un fenomeno in cui la legittimità non deriva più da istituzioni, procedure o competenze, ma dalla vicinanza al leader. Il politico non è più garante, ma datore di incarichi. Il consulente non è più esperto, ma uo...

IL GIRASOLE DI VIA DEZZA

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C’è un campetto da basket in via Dezza, a Milano, dietro la rete del canestro nord, dove da otto anni ogni mattina spunta un girasole fresco. Non è un fiore qualunque: è il modo in cui una madre dice «buongiorno» al figlio che non c’è più. Alessandro aveva quindici anni quando, nel 2017, un malore improvviso lo ha fatto cadere proprio lì, mentre faceva quello che amava di più. Non si è più rialzato. Da allora quel girasole è l’unico appuntamento fisso che quella donna ha ancora con lui. Qualcuno, da mesi, lo strappa con regolarità. Un gesto piccolo, vigliacco, anonimo. Poi è arrivato il biglietto della madre, scritto con la calligrafia incerta di chi ha le mani che tremano da anni «Non strapparmi. Non mi sono più rialzato dopo essere caduto su questo campo. Questo girasole mi ricorda. Grazie, Alessandro». La risposta, vergata con il pennarello nero sullo stesso foglio strappato e riappeso, è stata «Se tutti mettono un fiore per ogni morto, Milano sarebbe una pattumiera». Ec...

QUANDO È NO, È NO!

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Il 25 novembre 2025 l’Italia si sveglia tutta pettinata e infiocchettata, manco fosse il giorno della Prima Comunione repubblicana. Voto unanime sul femminicidio, ergastolo ostativo, Meloni che twitta come se stesse incidendo tavole della legge, politici in fila per una foto con la scarpetta rossa, che ormai è più gettonata delle influencer a Natale. Una scena così edificante che quasi ti viene voglia di crederci. Lo Stato c’è, la politica pure, la coscienza anche. Peccato che dopo ventiquattr’ore – non ventiquattro giorni, ore – la stessa maggioranza si presenti al Senato con la grazia di un bulldozer  - con voce di donna, ndr -  e butti fuori dalla porta il disegno di legge sul consenso attuale e libero. Rimandato tutto a gennaio, cioè a mai, quando saremo tutti impegnati a preoccuparci dei saldi o dell’ennesimo decreto sicurezza. La motivazione è un capolavoro da esporre al Louvre della retorica... “rischio vendette”. Pare che Salvini, nel tempo libero tra...

FIGHETTI E SELVAGGI

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C’è una scena che il Paese ha osservato con una tenerezza quasi mistica, un casolare sgangherato in Abruzzo, aria di bosco e libertà vintage, nessuna traccia di acqua corrente, fogna o elettricità. Tre bambini scalzi che corrono tra i rovi come comparse in un documentario sul buon selvaggio, e due genitori anglo-australiani convinti di aver riscoperto l’essenza pura della vita, la vera eredità di Thoreau in salsa peninsulare. Il resto d’Italia – divisa tra indignazione civile e romanticismo da Instagram – improvvisamente si riscopre custode della libertà educativa. “Lasciateli vivere nel bosco!”, gridano in coro politici, opinionisti, influencer con tendenze bucoliche dell’ultimo minuto. Hashtag #famiglianelbosco, cuoricini, meme, melodrammi. Da Meloni che abbraccia i piccoli Robinson Crusoe a Salvini che difende la fiaba arcadica dagli “orribili giudici comunisti”, sembra di assistere a un talent show ambientato a metà tra Rousseau e Studio Aperto. Ora fate un semplice esp...

APOSTROFO ROSA

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C’è un’idea che da giorni mi gira in testa come un insetto ostinato...il bacio sulle labbra — sì, proprio quello, con la lingua e tutta la coreografia — non è affatto una trovata romantica dell’età moderna. È un gesto molto più antico di qualunque romanzo d’amore, più vecchio delle città e dei templi, più vecchio perfino dell’Homo sapiens. Pare che ce lo trasciniamo dietro da una ventina di milioni di anni, quando i nostri antenati erano ancora primati arruffati che facevano equilibrismi sui rami, impegnati a sopravvivere tra i futuri scimpanzé e bonobo. Ventuno milioni di anni! Una cifra che fa venire le vertigini. I dinosauri erano spariti da un pezzo, i mammut dovevano ancora fare la loro comparsa, eppure c’era già qualcuno — peloso, probabilmente maleducato, ma sorprendentemente affettuoso — che sperimentava questo intimo incontro tra bocche. E, a quanto pare, non siamo nemmeno originali. I bonobo si baciano di continuo per fare pace, per legame familiare, per puro entu...

SAN FRANCESCO, PLATONE E I BAMBINI

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La vicenda della coppia anglosassone che decide di vivere con i figli in un rudere abruzzese — e che per questo finisce nel radar dei servizi sociali — sembra fatta apposta per rivelare le nostre fragilità culturali. Perché in Italia la povertà è accettabile solo se non la scegli. Se la erediti diventa pittoresca, se la cerchi diventa sospetta. E chi, potendosi permettere una vita comoda, opta per un’esistenza quasi francescana, con camini che tirano poco e filosofia che tira moltissimo, scatena immediatamente un misto di irritazione e diffidenza. Una specie di peccato sociale. Hai la libertà e la usi per non consumare? Imperdonabile. Il punto, però, non è solo il risentimento di classe mascherato da preoccupazione educativa. Il vero nodo è cosa significhi crescere bambini in questa scelta ascetica. Perché qui la metafora della caverna di Platone smette di essere un elegante riferimento filosofico e diventa un manuale d’uso della situazione. I genitori, pur animati dalle m...

NIETZSCHE CHE DICE?

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L’idea nietzscheana di una morale nata dalla grande frattura tra i forti innocenti e i deboli risentiti è una delle più affascinanti messinscene intellettuali della modernità. Un racconto che funziona come un mito delle origini, con il suo paradiso della forza spontanea, la sua caduta nel moralismo cristiano e la sua promessa di redenzione attraverso una nuova solarità dello spirito. Il problema è che questo racconto, per quanto elegante, poggia su un’ipotesi che la storia non conferma. Non è mai esistito un tempo in cui la forza non avesse bisogno di giustificarsi. Neppure Sparta, Roma arcaica o le tribù germaniche – tutte molto amate come modelli di vigore primordiale – hanno mai esercitato un potere privo di narrazione. Anche i più feroci tra gli antichi sentivano la necessità di vestirsi con miti, genealogie sacre, destini cosmici che rendessero la violenza qualcosa di più della semplice capacità di prevalere. In questo senso, l’opposizione nietzscheana tra un’età pre-m...

LA BILANCIA DI DIO

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C’è una storia antica, quasi una favola senza morale dichiarata, che parla di un contadino, un panettiere e una bilancia un po’ storta ma molto sincera. Ogni settimana il contadino vende mezzo chilo di burro al fornaio. Tutto fila liscio finché un giorno il fornaio, punto da un sospetto, decide di pesare la sua porzione. Scopre così che il panetto è più magro del dovuto e si indigna. Si sente truffato, defraudato, privato della sua giustizia settimanale. Tanto basta perché decida di portare il contadino in tribunale, convinto che la legge rimetterà ordine nello squilibrio dei piatti. Quando il giudice chiede al contadino in che modo pesasse il burro, l’uomo risponde con una calma che sembra uno schiaffo zen. «Non ho strumenti di misurazione precisi, solo una bilancia». E quando il giudice insiste, lui aggiunge la frase che rovescia il processo come una frittata ben fatta «Uso la pagnotta di pane da mezzo chilo che compro dal fornaio. Metto il pane su un piatto e dò lo stess...

TOILETTE, ULTIMA FRONTIERA

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L'identità di genere è una dimensione profonda dell'essere umano, non un gadget da indossare a seconda dell'umore come molti credono, e meriterebbe un dibattito più serio di quello a cui assistiamo, dove la complessità viene schiacciata in slogan e le persone diventano bandierine di guerre culturali che nulla hanno a che fare con loro. Uno dei cavalli di battaglia di chi è contro il riconoscimento dell'identità di genere è il caso dei bagni delle donne, emblematico perché quando sono unisex nessuno si strappa i capelli, si entra, si fa quel che si deve, si esce, fine della storia, ma nella narrativa catastrofista diventano improvvisamente il preludio al collasso della civiltà, come se una porta con un simbolo diverso fosse il vero problema della sicurezza femminile. Le paure esistono e non vanno derise, certo, ma vanno distinte dai mostri gonfiati ad arte, considerando che le statistiche non indicano alcuna invasione di predatori mascherati da politiche incl...

IPOCRISIE DI STATO

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Lo Stato ama proclamarsi custode della vita, baluardo etico contro ogni deriva barbarica, ma questa sua solenne missione sembra assumere una sorprendente elasticità a seconda delle circostanze. Ci sono momenti in cui la vita diventa un oggetto maneggiabile, sacrificabile, quasi un ingombro da spostare per far funzionare meglio i meccanismi del potere. Quando invia armi oltre confine, quando approva missioni militari “necessarie”, quando bombarda popolazioni civili con una facilità che non dovrebbe appartenere a nessuno, allora la vita non è più sacra, ma semplicemente una voce di bilancio, un costo prevedibile, un rumore di fondo. In quei casi lo Stato non si tormenta, non si interroga, procede sicuro di sé, forte del conforto di una legge, di un voto parlamentare, di una formula amministrativa così seducente da trasformare la morte in un evento burocratico, quasi contabile. La tragedia si dissolve nel linguaggio neutro dei comunicati ufficiali e tutto sembra magicamente le...

GRUGNITI PRESIDENZIALI

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È accaduto di nuovo. E il fatto che non stupisca più nessuno è, in fondo, il dettaglio che dovrebbe allarmarci. Sull’Air Force One, il 18 novembre 2025, Donald Trump ha rispolverato il numero del suo repertorio preferito: trasformare una domanda scomoda in un siparietto di disprezzo. Catherine Lucey di Bloomberg gli chiede perché non vuole pubblicare i documenti sul caso Epstein. Una domanda normale, come quelle che si fanno alle persone potenti quando c’è qualcosa che non torna. Trump, che con il concetto di normalità intrattiene un rapporto simile a quello tra un vampiro e l’aglio, risponde “Quiet, quiet piggy.” Zitta, zitta maialina. Lo dice con quella miscela di fastidio e godimento che gli illumina sempre il volto quando può rimettere qualcuno “al suo posto”. E già che c’è, una volta atterrato, suggerisce che Bloomberg dovrebbe licenziarla. Perché quando non puoi cancellare la domanda, cancelli chi la fa. Non è un incidente, è una prassi. Una liturgia. Un pezzo del suo...

HOUSE OF CARDS ALL'AMATRICIANA

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Siamo entrati nel nuovo episodio della tragicommedia politica italiana, quello in cui il Quirinale viene evocato come il set di House of Cards , La Verità si autocandida a regista occulto e Bignami interpreta l’attore indignato “su richiesta”, come nei casting improvvisati delle soap pomeridiane. È bastato un articolo costruito con il consueto trucco narrativo — il condizionale travestito da certezza , l’indiscrezione che finge di essere prova, il sospetto camuffato da scoop — per far ripartire la macchina del vittimismo governativo , sempre pronta a ruggire alla minima vibrazione. Ed eccoci, il Quirinale starebbe complottando contro il Governo. Trame così ardite che perfino nei romanzi di spionaggio da edicola si imporrebbe un minimo di pudore letterario. La scena in Parlamento ha rasentato il surreale, Bignami, con la delicatezza di un avventore al quinto spritz, insinua retroscena e trame di Palazzo. Ufficialmente parla di un consigliere del Presidente della Repubblica,...

IL BENE DEL MALE

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C’è un punto in cui la teologia smette di essere rassicurante e inizia a vacillare. È il punto in cui si incontra Giuda Iscariota, figura odiata da secoli ma stranamente indispensabile alla storia della salvezza. Senza il suo gesto non ci sarebbero né arresto né processo né crocifissione. L’intero edificio cristiano poggia su una scelta che tutti fingiamo di considerare marginale e che invece è l’ingranaggio centrale del racconto. Quando fu ritrovato il Vangelo di Giuda si scoprì una versione alternativa che trasformava il traditore nel discepolo più lucido. Non il nemico ma colui che comprende il compito drammatico di liberare lo spirito di Cristo dalla prigione della carne. La Chiesa respinse senza esitazioni questa lettura, tuttavia nelle sue stesse liturgie conserva un indizio che disturba ogni certezza. La formula o felix culpa applicata alla caduta di Adamo suggerisce che il male possa diventare condizione del bene, e questo apre inevitabilmente la domanda se anche il...

NOI, PER SEMPRE

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Dietro il grande amore che univa le due sorelle, così celebrate e così gemelle da sembrare un refuso della natura, c’era una solitudine ostinata, tenace, che nessun palcoscenico, nessuna paillettes e nessun applauso avrebbe mai potuto mascherare davvero. Una solitudine quasi scomoda, la classica presenza che tutti fingono di non notare mentre applaudono il numero di punta. Perché, diciamolo, la loro vita perfettamente simmetrica era anche una gabbia dorata. Essere identiche era il loro talento, ma anche la loro condanna. Il pubblico le adorava proprio perché erano inseparabili, e forse perfino loro, a forza di recitare la parte delle sorelle indissolubili, hanno finito per crederci fino in fondo, come quegli attori che non sanno più uscire dal personaggio neppure a sipario chiuso. Il loro vero terrore non era l’invecchiamento – quello, al limite, lo si trucca – ma l’idea spaventosa di trovarsi a esistere come individui, di essere costrette a pronunciare un “io” senza automa...

ARBITRIO CONDIZIONATO

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Il nodo tra libero arbitrio e punizione è una delle contraddizioni più persistenti dei sistemi morali e religiosi. Se davvero siamo liberi di scegliere, perché alcune scelte vengono rese impraticabili attraverso la minaccia della sofferenza? Quando una strada esiste solo per rivelare chi osa imboccarla, la libertà assume i contorni di un test, non di un orizzonte aperto. È come essere invitati a “scegliere liberamente”, mentre qualcuno sussurra: “ma se non scegli come dico io, pagherai”. In questo modo il Male diventa un'opzione fittizia, una possibilità concessa più per classificare che per emancipare. In queste condizioni, la punizione non difende la libertà: la svuota dall’interno. La scelta del Bene rischia di ridursi a un calcolo di convenienza, a una strategia prudenziale, e non a un’autentica adesione morale. Il libero arbitrio si trasforma in un’etichetta elegante che copre un sistema regolativo rigido, il quale, se venisse dichiarato apertamente, apparirebbe au...

L'ANAGRAMMA CHE NESSUNO CAPÌ

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Roma, 29 marzo 1978.  Nella cella improvvisata di via Montalcini 8, primo piano, Aldo Moro ha davanti un foglio, una biro e cinquantacinque giorni di vita che ancora non sa di avere. Le mani non tremano, tremano solo se le guardi da vicino, ma lui le tiene ferme, come quando firmava decreti o stringeva mani di avversari. I brigatisti gli hanno detto: «Scrivi a Cossiga. Digli che lo Stato deve trattare». Lui annuisce, prende il foglio, ma nella testa ha già un altro destinatario: se stesso, quarantott’ore più tardi, quando la lettera sarà nelle mani giuste o sbagliate. Comincia a scrivere.   «Caro Francesco…»   Poi si ferma.   Sa che la lettera uscirà, sa che la pubblicheranno, sa che i carcerieri la leggeranno prima di lui. Deve dire la verità senza dirla, deve gridare senza urlare. Ricorda i cruciverba della domenica, le griglie di Toti, le settimane enigmistiche che portava in treno da Bari a Roma. Ricorda che Cossiga, da ragazzo, vinceva...

RETORICA SBOTTONATA

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Salvini arriva sul palco in Puglia con la camicia sbottonata quel tanto che basta per dire “sono uno di voi”, ma senza rischiare davvero il sudore del popolo. E naturalmente parte il mantra: «Gli stranieri che non rispettano le nostre leggi devono essere mandati via». Applausi automatici, quasi condizionati. E, in superficie, chi potrebbe obiettare? Chi mai farebbe la fiaccolata per difendere un delinquente? Il problema non è il principio, è il trucco da prestigiatore: quel “gli stranieri” che mescola nell’impasto lo scippatore albanese, il pusher nigeriano, il chirurgo tunisino che fa turni da ostaggio e perfino la badante moldava che mette ordine nella vita e nella casa di tua nonna. Tutti incollati insieme, tutti sospetti, tutti potenzialmente espellibili. Una semplificazione così comoda da diventare quasi poetica. E sì, la frase funziona. Funziona perché pizzica corde vere: il quartiere che cambia, la paura per la sicurezza dei figli, la guerra quotidiana contro il por...

HUMAN SAFARI

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L’Italia ama raccontarsi come patria della civiltà giuridica, laboratorio del Rinascimento e depositaria di un umanesimo che dovrebbe, almeno sulla carta, immunizzarla da ogni forma di barbarie. Ma basta scendere appena sotto la superficie di questa auto-mitologia per scoprire come, negli anni Novanta, alcuni cittadini italiani trasformarono la guerra di Bosnia in una sorta di parco tematico della violenza. Non andavano a Sarajevo per comprendere un conflitto o sostenere una popolazione assediata, ma per piazzarsi sulle colline con un fucile di precisione e sparare su civili impegnati in attività ordinarie: fare la spesa, attraversare una strada, tentare di vivere. Il meccanismo psicologico è noto: la distanza etica si riduce, l’alterità si acuisce, il bersaglio non è più una persona ma un oggetto in movimento. È la logica del deumanizzare che ritorna ciclicamente nella storia, indipendentemente da latitudine, lingua o bandiera. Quei “cecchini del weekend” provenivano dal T...