IL TEMPISMO DEL MONITO
Partiamo dal punto che ormai dovrebbe essere scolpito nel granito, Francesca Albanese ha condannato. Lo ha fatto subito, lo ha fatto chiaramente, lo ha fatto più volte. Eppure, come in un riflesso pavloviano, è scattato il “sì, ma…”, che in Italia funziona come una gomma da cancellare, prende la condanna, la sfuma, la riduce, la rende irrilevante. Così si può ricominciare da capo, come se non fosse mai stata detta. È un trucco antico, ma sempre efficace. Il nodo ruota intorno a quella parola, “monito”, diventata improvvisamente un’arma contundente. Ma il punto non è tanto cosa intendesse Albanese — una diagnosi sociale, non un’assoluzione morale — bensì quando un monito si può fare. Perché qui si apre la questione vera. Quando è legittimo avvertire dei rischi? Quando il fatto è ancora caldo, pulsante, nel pieno delle cronache? O quando è passato abbastanza tempo da non urtare nessuno, col risultato però che nessuno ti ascolterà più? È la vecchia trappola dei discorsi pubbli...